10 marzo 1959 – 10 marzo 2019, 60 anni di oppressione per il popolo tibetano: per non dimenticare, per continuare a resistere

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10 marzo 1959 – 10 marzo 2019, 60 anni di oppressione per il popolo tibetano: per non dimenticare, per continuare a resistere.

Geshe Dondup Tsering, Roberto Pinter, Tenzin Khando

Il 10 marzo del 1959 il Dalai Lama fu costretto ad abbandonare il Tibet e rifugiarsi in India. Lo fece
per sottrarsi all’occupazione militare della Cina che ha reso il Tibet, fino ad allora terra autonoma e
libera, una delle province cinesi.
Sono passati sessant’anni e nonostante la ricerca di un dialogo e la rinuncia alla rivendicazione
dell’indipendenza la repressione non è mai cessata e il Dalai Lama non può tornare nella sua terra,
dove ancora oggi i tibetani ne chiedono il ritorno, finendo nelle prigioni cinesi o anche sacrificando
la loro vita (più di 150 si sono immolati bruciandosi, purtroppo nella totale indifferenza).
La Cina non ha solo occupato il Tibet, lo ha anche colonizzato traferendo milioni di cinesi e
sottoponendolo allo sfruttamento, distruggendo le risorse ambientali dopo aver cancellato quelle
culturali. Non è possibile l’autogoverno, il pieno uso della propria lingua o la libertà religiosa.
Nessun passo in avanti. La Cina si rifiuta di riconoscere i diritti che la sua stessa costituzione
afferma, e nemmeno i giornalisti possono entrare liberamente in Tibet. Tanti tibetani sono fuggiti
dal loro paese e quelli che rimangono resistono con coraggio alla dura repressione.
Nel mondo si sono levate tante voci a sostegno del popolo tibetano, ma dopo le Olimpiadi di
Pechino sono più i silenzi che le denunce. I governi inseguono gli affari con la Cina diventata nel
frattempo una delle economie più forti nel mondo, e la Cina sta comprando i debiti di tantissimi
paesi condizionandone il futuro. Oggi si sono rovesciate le parti ed è la Cina che controlla gran
parte dello sviluppo economico e tecnologico mondiale e che è diventata il principale interlocutore
delle economie emergenti sia in Asia che in Africa, ma anche in Europa la via della seta rappresenta
la più colossale operazione di estensione della influenza e del controllo diretto di altre economie.
L’Italia purtroppo si sta distinguendo in modo negativo. Non solo tace sulla violazione dei diritti,
non solo si rifiuta di accogliere il Dalai Lama obbedendo ai ricatti cinesi, ma mette a disposizione i
propri porti e il proprio territorio per assicurare l’espansione cinese.
Non solo l’Europa non esporta diritti umani, ma il sovranismo dell’attuale governo porta
paradossalmente l’Italia oltre a tacere rispetto a quanto accade in Tibet, ad importare limitazione dei
diritti e della propria sovranità cedendo infrastrutture e indebitandosi in misura pesante con la Cina.
Non si tratta di negare alla Cina la possibilità di essere una grande nazione, si tratta di chiedersi se
la rinuncia ai diritti umani possa essere merce di scambio rispetto alle transazioni economiche, se
per contrastare la recessione sia giusto sacrificare la propria sovranità concedendo alla Cina il
controllo strategico di parte delle proprie risorse e infrastrutture.
Per questo siamo convinti che il destino del popolo tibetano e la sua libertà coincidano con il
destino di tutte le minoranze, e con il nostro destino oltre che con il futuro della Cina.
Difendere con forza la libertà di ogni popolo dovrebbe essere un imperativo anche per chi vuole un
futuro per il nostro paese.
Per questo come Associazione Trentino for Tibet ci rivolgiamo al Parlamento e al governo italiano
affinchè ci sia un sussulto democratico volto a difendere ogni minoranza oppressa e per restituire
libertà al popolo tibetano e permettere il ritorno in Tibet del Dalai Lama.

Per Trentino For Tibet, il presidente Roberto Pinter.