Dalai Lama e reincarnazione

Un interessante articolo di           Raimondo Bultrini      2 novembre alle ore 11:18

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Ieri è stato pubblicato da La Repubblica un mio articolo sulle ultime dichiarazioni del Dalai lama a proposito della sua reincarnazione e sulle reincarnazioni in generale. E’ un tema vasto difficile da affrontare in 80 righe tipografiche. Per questo preferisco pubblicare qui almeno il testo più lungo della prima versione, dove alcuni dettagli sono meglio precisati.
BANGKOK – Di fronte a un gruppo di studenti provenienti dal Bhutan dove si preservano le antiche forme di buddhismo tibetano Vajrayana, il Dalai lama ha parlato di un aspetto politico ma anche intimo del suo rapporto con il mito delle “Reincarnazioni”. Ha detto che l’intero sistema tibetano è basato su un antico sistema feudale dominato da “reincarnati” – o tulku – che non sono sempre all’altezza ed è ora di adeguarlo ai tempi. Infatti – ha aggiunto – si stupisce di vedere che gli atei per eccellenza del partito comunista cinese mostrano di crederci al punto da aver nominato il Panchen lama – numero 2 del buddhismo tibetano – contro la sua volontà.
“Hanno già deciso che in futuro sostituiranno anche me con qualcuno di loro scelta”, ha ripetuto al suo giovane pubblico, di certo stupito dal linguaggio esplicito e per loro rivoluzionario del Dalai lama, una figura che dal 1474 ad oggi sarebbe tornata in terra 14 volte. Ma non è solo con gli studenti che l’ultimo di questa serie di “tulku” ha deciso di manifestare i suoi seri e inediti dubbi sulla pratica di molti riconoscimenti “ufficiali” dei reincarnati.
Già tre anni fa al New York Times il Dalai, quasi col gergo degli ex nemici maoisti, disse: “Tutte le istituzioni religiose, tra cui il Dalai Lama, si sono sviluppate in circostanze feudali, corrotte da sistemi gerarchici, e hanno cominciato a discriminare tra uomini e donne; sono giunti a compromessi culturali con leggi simili alla Sharia e al sistema delle caste”. “Pertanto (con me), l’istituzione del Dalai Lama, con orgoglio, volontariamente, si è conclusa”.
Ma ancora più indietro nel tempo così scrisse nel suo pre-testamento del 2011: “Man mano che l’era degenerata pogredisce, e mentre vengono riconosciute sempre più reincarnazioni di alti lama, alcuni per motivi politici, un numero crescente di persone è stato riconosciuto con mezzi inappropriati e discutibili, attraverso i quali è stato arrecato un danno enorme al Dharma”, la religione.
La prova – scrive – è che la Cina ha affidato a un’apposita commissione politica per gli affari religiosi il potere di “certificare i Buddha viventi” , come il partito chiama i presunti “reincarnati”.
500 Rinati
Il leader spirituale dei tibetani è solo il più celebre tra i circa 500 “tulku” di una delle 4 scuole del buddhismo tibetano, unite nei principi ma divise dal lignaggio di maestri e dai metodi per ottenere la liberazione spirituale. Che siano stati approvati dal partito o da altri leader religiosi in buona fede, il Dalai lama ha detto di provare “vergogna” per alcuni di loro, ma in generale considera che è l’istituzione stessa dei tulku ad aver “fatto il suo tempo”.
Per spiegarsi – lo riferiscono i giornali indiani dopo l’incontro con gli studenti – ha ricordato che il sistema della reincarnazione non è mai esistito nemmeno in India, terra di grandi maestri come Nagarjuna o del ben più noto Buddha Sakyamuni. Egli stesso nel 1969 ne difese i principi, ma ha cambiato idea: “Sento che è il tempo di tornare al sistema buddista indiano” – ha detto – “Le istituzioni devono essere di proprietà della gente, non di un individuo, come la mia stessa istituzione, l’ufficio del Dalai Lama”, un titolo – aggiunge – “collegato a un sistema feudale” che dovrebbe “finire, o almeno cambiare con i tempi che cambiano”. Tra i suoi contributi cita l’adesione dei tibetani moderni ai modelli delle democrazie del mondo, ma ammette che tra le zavorre di un passato a lui oggi lontano c’è proprio quella dei veri e falsi reincarnati. “Ci sono stati casi di singoli lama che usano il titolo di reincarnazione – ha spiegato il Dalai agli studenti – ma non prestano mai attenzione allo studio e alla saggezza.”
SE MI REINCARNO LO SAPRO’ A 90 ANNI
Nel pre-Testamento spirituale scritto all’età di 76 anni dedica al problema del suo ruolo quando non ci sarà più nove pagine fitte di Volontà alle quali manca solo l’ultima parte, quando Tenzin Gyatso raggiungerà (oggi 84enne) l’ottimista traguardo che si è prefissato già allora. “Quando avrò circa novant’anni – ha scritto – consulterò gli alti lama delle tradizioni buddiste tibetane, la nostra gente e altre persone che seguono il buddismo tibetano (non esclusi stranieri, ndr) e rivaluterò se l’istituzione del Dalai Lama debba continuare o meno. Su tale base prenderemo una decisione”.
IL PARERE DEGLI ANGELI
Il Dalai lama spiega che una volta lasciato il corpo “gli ufficiali in carica del Gaden Phodrang Trust del Dalai Lama – la Fondazione in suo nome del governo in esilio – dovrebbero consultare i vari capi delle tradizioni buddiste tibetane”, nonché “gli affidabili protettori del Dharma” (entità metafisiche “amiche” contattate nella meditazione dai medium) “vincolati dal sacro giuramento e collegati indissolubilmente al lignaggio dei Dalai Lama”.
Sarà a questo tribunale speciale paragonabile a una corte di angeli che sarà affidata l’ultima decisione sul prossimo “tulku” – il quindicesimo – sempreché ce ne sarà un altro con questo nome. I suoi sostituti temporanei, scrive, “dovrebbero chiedere consigli e indicazioni a questi esseri (i soli) interessati e svolgere le procedure di ricerca e riconoscimento secondo la tradizione del passato. Lascerò chiare istruzioni scritte al riguardo”.
PALLINE DI FARINA CONTRO BASTONCINI CINESI
Più avanti il Dalai chiarisce che la divinazione risolutiva dai tempi del suo predecessore favorito, il Quinto, viene condotta di fronte alla immagine sacra o thangka di una divinità femminile di nome Palden Lhamo. Per tradizione il maestro cerimoniere fa ballare delle palline fatte di farina d’orzo con dentro nomi o quesiti ai quali risponde il medium considerato a diretto contatto con l’infallibile Protettrice e altre divinità amiche. Spesso sono frasi criptiche che hanno bisogno di interpretazioni. ll Dalai lama ricorda che i cinesi in un paio di casi costrinsero i Reggenti a usare al posto delle palline un’ampollosa urna d’oro con dei bastoncini da estrarre. Ma assicura che alla fine le decisioni importanti dei tibetani sono sempre state prese autonomente e coi metodi di una volta.
REINCARNATI, DEMONI E POLITICA
Per riaffermare l’antica alleanza ultramondana che non lo salvo’ dall’esodo in terra straniera ma lo ha reso celebre nel mondo, il leader spirituale autorizza nel Testamento queste “entità” a decidere la sua stessa sorte futura, purché siano “collegate indissolubilmente al lignaggio dei Dalai Lama” nonché “vincolate al sacro giuramento” che risale all’introduzione del buddhismo. Prima del settimo secolo il Tibet era una terra apparentemente selvaggia ma culla di una sofisticata civiltà precedente dominata da sacerdoti Bon, ritenuti capaci di scatenare gli elementi ed evocare i poteri di spiriti primordiali. Credenza vuole che questi spiriti – compresi quelli che decideranno ora se ci sarà un futuro Dalai – vennero domati e convertiti fin dall’ottavo secolo d.c. alla nuova religione, rimasta poi al potere per quasi 12 secoli.
Molti “nemici” spirituali e politici interni alla stessa scuola del Dalai lama venerano pero’ un “essere” non vincolato dal “sacro giuramento” e in quanto tale considerato dal leader tibetano un vero e proprio “demone”, le cui tracce risalgono ad appena 300 anni or sono. Secondo il Dalai non è un caso se i lama seguaci di questo culto sono da decenni d’accordo con le autorità comuniste cinesi per soppiantare le vecchie forme e le vecchie figure del buddhismo tibetano.
FINE DEL DALAI LAMA E DI TUTTI I REINCARNATI?
Se la decisione sul XV Dalai resta affidata ai pareri di esseri ultraterreni usati nella competizione politica tra gli uomini, nel suo Testamento “Kundun” scrive che “nessun riconoscimento o accettazione” va dato “a un candidato scelto da chicchessia per fini politici, compresi quelli della Repubblica Popolare Cinese”. Ma lancia un monito: se verrà nominato un Dalai lama senza orientamenti chiari” “c’è il rischio evidente che interessi politici acquisiti abusino del sistema di reincarnazione per soddisfare la propria agenda politica”.
Scrive ancora Tenzin Gyatso per definire il “tulku” ideale: “I Bodhisattva superiori”, che hanno raggiunto “il sentiero della visione”, non rinascono “attraverso la forza del loro karma e delle loro emozioni distruttive” come gli altri esseri umani, ma tornano in un mondo limitato come la terra “a causa del potere della loro compassione per gli esseri senzienti”, un potere sovrannaturale creato “dalle loro preghiere a beneficio degli altri”. Così “sono in grado di scegliere il luogo e l’ora di nascita nonché i loro futuri genitori”.
AL SUO POSTO UNA “EMANAZIONE”
il Dalai lama teme che possa crearsi confusione nell’atto di distinguere tra “corpi” di genuina “emanazione dei Buddha” e uomini pieni di “emozioni negative”. Per questo tra le soluzioni prospettate nel suo Testamento c’è l’idea che una sua stessa ”emanazione” possa sostituirsi alla mente “vivente” di un lama, un saggio o un giovane selezionato. La soluzione eviterebbe vuoti nel periodo di transizione in attesa che diventi adulto il tulku del prossimo Dalai lama e renderebbe nulle le operazioni dei cinesi per sostituirlo alla morte. Ha più volte chiarito che in via di principio tra i candidati alla reincarnazione o a questa sorta di transfer dei suoi poteri psichici puo’ anche esserci una donna. Ma sollevo’ scandalo tra molte seguaci per le sue battute sulla preferenza verso un “corpo attraente”.