H&M sotto attacco a Pechino: ha denunciato (un anno fa) il trattamento degli uiguri

Il gruppo svedese finisce nella morsa dello scontro fra la Cina e l’Occidente sulla repressione della minoranza uigura dello Xinjiang: rimosso dalle piattaforme di e-commerce senza spiegazione, i negozi introvabili sui Google Maps cinesi

H&M sotto attacco a Pechino: ha denunciato (un anno fa) il trattamento degli uiguri

Il caso H&M è dilagato sulla stampa cinese; su Weibo si sono scatenati i troll che hanno coinvolto altri grandi marchi della moda, da Nike a Adidas, Gap, Uniqlo, Muji, Burberry che in passato avevano dichiarato di non utilizzare cotone dello Xinjiang o di lavorazione dubbia. Un clima da caccia alle streghe, con decine di modelle e star del cinema e della tv cinesi che hanno cancellato i loro contratti con i brand stranieri, temendo di finire ostaggi dell’ondata nazionalista. Da anni organizzazioni umanitarie internazionali e governi occidentali denunciano la situazione dello Xinjiang, dove il governo cinese ha deciso di «normalizzare» la minoranza uigura di religione musulmana che secondo Pechino è stata troppo a lungo «esposta alle infiltrazioni dell’estremismo».

dal Corriere della Sera 

Gli uiguri si sentono culturalmente ed etnicamente più vicini alle popolazioni dell’Asia centrale che alla Cina; negli ultimi decenni la forte immigrazione di cinesi dell’etnia prevalente Han ha creato tensioni gravi, con violenze di massa, atti di terrorismo e operazioni antiguerriglia. Per riprendere il controllo della situazione è arrivato l’ordine di «rieducare» la popolazione. Almeno un milione di uiguri è stato inviato in quelle che le autorità chiamano «scuole professionali» ma che testimonianze raccolte da organizzazioni umanitarie hanno descritto come «campi di detenzione dove si sfrutta il lavoro forzato e si fa indottrinamento politico».

Il Caso Xinjiang è esploso lunedì scorso, quando Unione Europea, Gran Bretagna, Stati Uniti e Canada hanno imposto sanzioni a quattro dirigenti comunisti della regione e una «entità»: la Xinjiang Production and Construction Corps, un’organizzazione collegata all’esercito cinese che controlla un quinto della produzione di cotone della regione e impiega un decimo della sua forza lavoro. La Cina produce il 22% del cotone mondiale e l’80% delle coltivazioni sono nello Xinjiang. Il governo cinese ha reagito con una rappresaglia contro una decina di europarlamentari e studiosi di questioni sociali europei, mettendo al bando anche istituti di ricerca occidentali.

Ora la controffensiva si concentra sull’industria della moda, che non può fare a meno del mercato cinese. Pechino nega di aver ordinato un boicottaggio commerciale, sostenendo che è partito spontaneamente dal web, dal popolo della rete. Ma i social network mandarini sono popolati da decine di migliaia di troll ispirati dall’ufficio propaganda e censura. La signora Hua Chunying, portavoce del ministero degli Esteri, ha osservato: «Il popolo cinese non permette che alcuni stranieri facciano soldi sul suo mercato mentre danneggiano e diffamano il Paese basandosi su voci e falsità». Significa che chi vuole stare sul mercato cinese deve chiudere gli occhi.