“Divieto di scalate”: Pechino chiude il Tetto del Mondo

da Repubblica 12 giugno

Le autorità hanno sospeso tutti i permessi per l’Everest dopo l’ascesa “non autorizzata” dell’alpinista Adamski

dal nostro corrispondente ANGELO AQUARO

"Divieto di scalate": Pechino chiude il Tetto del MondoPECHINO – È il primo Adam nella storia dell’umanità a non poter addossare la colpa a nessuna Eva: perché è stato lui, soltanto lui, Adam Adamski, Adamo di nome e di cognome, a cacciarci in questo pasticciaccio che ci ha chiuso la via del paradiso. Adamski è l’alpinista polacco che senza permesso – perché, dice, “non esistono permessi sulle montagne ” – ha scalato l’Everest dal versante Nord, cioè dal Tibet cinese, e poi è disceso in Nepal dal versante sud, che è quello più conosciuto. Apriti cielo, appunto. I nepalesi hanno fatto sapere che è meglio che non si faccia più vedere: rischia il rimpatrio, e comunque gli è vietato di scalare per i prossimi dieci anni. Ma sono stati i cinesi a mostrare il lato più duro. Tutti i permessi già concessi per la stagione 2017 sono sospesi, e non solo quelli per l’Everest, ma anche per il Cho Oyu e lo Shishapangma. Il divieto, naturalmente, è inteso per il meglio: le regole “devono essere riviste e migliorate” dopo la performance del polacco, che lui considera invece “il raggiungimento del sogno di una vita”. L’obiettivo, per i cinesi, sarebbe quello di “garantire le migliori condizioni a tutte le altre spedizioni del 2018”: insomma un anno di chiusura per manutenzione, vale a dire per serrare i controlli, che per Pechino sono una specialità.

Quando si parla di Tibet si apre una ferita alta quanto l’Himalaya. Dichiarata l’indipendenza nel 1913, dopo la fine della dinastia Qing, la Cina l’ha annesso nel 1951: l’anno in cui l’alpinista austriaco Heinrich Harrer, impersonato nell’omonimo film da Brad Pitt, dice addio ai suoi Sette anni in Tibet, dove si era nascosto per fuggire da un campo di prigionia in India. Da allora, il Dragone ha cercato in tutti i modi di cinesizzare il tetto del mondo e di spegnere la voce del Dalai Lama in esilio, che pure dice di non volere l’indipendenza ma vera autonomia.

La cinesizzazione costa: negli ultimi 15 anni il governo ha speso 45 milioni di dollari, e non è un caso che con tutti quei soldi il Tibet sia diventato la regione che corre di più, con il Pil che ha toccato il record dell’11%: 4.1 punti in più della media nazionale. Lo sviluppo è affidato al turismo, secondo la linea approvata nel quinquennale Tibetan Work Forum, edizione 2010, che ha portato al boom di 23 milioni di visitatori cinesi, mentre gli stranieri fino a quest’anno non potevano entrare: causa appunto le proteste sempre più violente, per non parlare del sacrificio dei monaci che si sono autoimmolati, e il mese scorso hanno raggiunto la tragica cifra di 150. Proprio mentre i cinesi riaprivano le porte è arrivata dunque la bravata del polacco: e Pechino ne ha approfittato per richiudere i cancelli del cielo. E adesso?

La decisione ha fatto infuriare gli appassionati di tutto il mondo. Compreso quel pazzo di Carlos Soria Fontan, che aveva già progettato di scalare quest’autunno, a 77 anni suonati, lo Shishapangma, lui che s’è messo in testa di diventare il più vecchio conquistatore delle 14 cime più alte del mondo: “Ok il polacco, ma che senso ha la rappresaglia verso il resto del mondo?”. Che senso ha, oltre all’operazione di polizia-pulizia, non lo sa ancora nessuno: certo è solo che l’Everest non potrà chiudere per molto. Tra 5 anni ci sono le Olimpiadi invernali a Pechino, che sta già facendo costruire proprio in Tibet 800 piste, oltre a miriadi di hotel, ristoranti e perfino un museo. Soprattutto, lo sci è diventato la nuova passione – dopo il calcio – del Tifoso in Capo Xi Jinping. Gli uomini del presidente hanno già indicato

l’obiettivo: portare in meno di 15 anni dai 5 milioni di oggi a 300 milioni l’esercito degli sciatori, pronto ad asfaltare – e non solo di neve – l’intero Tibet. Non date dunque la colpa al povero Adam se l’Everest chiude per lavori: il Paradiso è perduto per sempre.